Storia della neurologia

di Mario Manfredi

Gli Egizi: un’occasione mancata

“Quando si tratta del cervello, niente è semplice”, dice un noto neurologo, Robert S Fishman, sulla storia delle localizzazioni cerebrali. La maggiore difficoltà è stata in effetti riconoscere al cervello le sue funzioni nelle attività nervose e mentali.

La diarchia “cuore e cervello” – ai giorni nostri equivalente, nel linguaggio comune, alla suddivisione dell’attività mentale fra emozioni e ragione – riguardava all’inizio del pensiero scientifico l’essenza della natura umana. La prima menzione del cervello avviene in un papiro egiziano del 18° secolo avanti Cristo, ritenuto una copia di un più antico documento, probabilmente del 30° secolo avanti Cristo, contemporaneo quindi alle grandi piramidi. Il papiro, conosciuto come Papiro di Edwin Smith, dal nome dell’egittologo americano che lo acquistò a Luxor nel 1862, riporta la descrizione di 48 casi clinici di origine traumatica, molti dei quali neurologici. A proposito di una frattura esposta del cranio (caso numero 6), menziona le meningi, (“le membrane che avvolgono il cervello”), le circonvoluzioni cerebrali “che pulsano sotto le dita” e sembrano “le ondulazioni del rame fuso” e il liquor, “il liquido all’interno della testa”. In un altro paziente (caso numero 8) la paralisi degli arti sembra venire attribuita alla lesione del cervello (menzionato come “il midollo del cranio”), anche se dallo stesso lato del trauma (evento perfettamente accettabile in un trauma cranico). Il paziente numero 22 non riesce più a parlare dopo un trauma cranico, mentre i pazienti numero 31 e 33, dopo frattura delle vertebre cervicali, non riescono a muovere gli arti (“questa malattia non puoi curarla”).

Il rapporto fra cervello, midollo, volontà e movimento sembra stabilito, ma in realtà le descrizioni del cervello e dell’effetto delle lesioni neurologiche non sono progredite nella medicina egizia. Gli antichi egizi infatti avevano elaborato una teoria cardiocentrica, in cui il cuore agiva come sede degli “spiriti vitali”, che venivano pompati negli altri organi attraverso vasi sanguigni, nervi e tendini.
Durante l’imbalsamazione, il cervello veniva estratto a frammenti attraverso il naso, le orbite o il forame occipitale e gettato via, come organo di poco conto, mentre gli organi interni del corpo venivano rimossi con accuratezza e conservati in appositi vasi. Il cattivo trattamento subito dal cervello ha impedito anche che esso venisse descritto con accuratezza, come avvenuto per gli altri organi.

I greci: cuore o cervello?

I medici e filosofi greci hanno impostato con maggiore raziocinio il problema della localizzazione degli “spiriti vitali”. Ippocrate (460-379 avanti Cristo), oltre a lasciarci accurate descrizioni dell’attacco epilettico e dell’attacco emicranico, riteneva che fosse il cervello, contenuto nel cranio, la sede delle sensazioni, dei pensieri o delle emozioni, ma non ha dato a questa convinzione un supporto anatomico. Platone (429-374 avanti Cristo) paragonava le circonvoluzioni e i solchi del cervello ai rilievi e agli avvallamenti di un campo arato, ove il seme divino veniva versato per generare l’attività cosciente. Aristotele (384-322 avanti Cristo), figlio del medico Nicomaco, si è avvicinato alla questione con metodo: ha considerato che, mentre tutti gli animali mostrano di avvertire le sensazioni, solo i vertebrati possiedono un organo come il cervello. Esso perciò non può essere responsabile delle sensazioni. Inoltre, il cuore è al centro del corpo mentre il cervello è alla periferia; il cuore contiene il sangue, la linfa vitale, e quando esso si ferma la vita ha termine. Il cuore è sede del calore animale, che sale al cervello per raffreddarsi come il vapore raggiunge le nuvole, ed è perciò il cuore la sede delle attività spirituali.

Ma i greci continuano a osservare e a ragionare. Erofilo (3° secolo avanti Cristo), insegnante ad Alessandria distingue il cervello dal cervelletto. Nello stesso secolo Erasistrato, anch’egli insegnante ad Alessandria, descrive le circonvoluzioni, più numerose nell’uomo che negli animali. Ambedue ritengono che nel cervello sia la sede dell’intelligenza.

La cultura medica greco-romana è stata arricchita e ci è stata trasmessa dalla civiltà islamica attraverso Avicenna (980-1037) e gli altri medici arabi e persiani. Avicenna pensava che i centri delle sensazioni, del pensiero e del movimento risiedessero nel cervello, ma fossero controllati dal cuore.

Galeno, il grande osservatore

Galeno (circa 130-200 dopo Cristo), medico a Pergamo e poi a Roma, rinnova l’arte medica dandole una impostazione sperimentale e scientifica. Come medico della scuola dei gladiatori di Pergamo egli poté effettuare una grande mole di osservazioni cliniche sostenute dalla osservazione sperimentale dell’anatomia dell’animale. Galeno descrive i ventricoli cerebrali, il corpo calloso (la principale connessione fra i due emisferi del cervello), i nervi cranici, riproduce sperimentalmente la tetraplegia e la paraplegia da lesione del midollo.
Lascia un tale corpo di osservazioni e di indicazioni da restare, fino quasi all’inizio del 1800, come il cardine della dottrina medica.

Alcune osservazioni erano sbagliate: per esempio la descrizione di una “rete mirabile” di vasi sanguigni alla base del cervello, presente nella pecora ma non nell’uomo. Galeno riteneva che lo spirito animale (“pneuma psichico”) avesse sede nel cervello e che il cervello fosse il centro delle attività sensitive e motorie. Lo spirito vitale (“pneuma vitale”) veniva pompato dal cuore, filtrato alla base del cervello dalla “rete mirabile” di vasi sanguigni, trasformato in spirito animale e infine raccolto e conservato nei ventricoli cerebrali. In analogia con i movimenti idraulici, lo spirito vitale scendeva nei nervi fino ai muscoli facendoli contrarre; la energia meccanica della contrazione muscolare veniva trasmessa allo scheletro attraverso i tendini. La corteccia cerebrale era conosciuta, ma trascurata a favore dei ventricoli e del “pneuma” simile all’aria, in essi contenuto. La discesa dello spirito animale dal cervello ai nervi e infine ai muscoli avveniva per azione del cervello, che era dotato di movimenti attivi e agiva come una pompa. È sorprendente come fosse uno sperimentatore e un teorico – che ha elaborato i concetti di “sintomo”, “sindrome” e “malattia” e che riteneva il cervello come sede di raccolta delle sensazioni, di elaborazione del pensiero e di centrale di comando dei movimenti – e fosse convinto della contrazione del cervello, assimilato a un muscolo. Riteneva che l’attività mentale si svolgesse nel “pneuma”, l’aria che si pensava riempisse i ventricoli. Dobbiamo però tenere presente che i movimenti respiratori e le pulsazioni del cuore, a cranio aperto, spostano la corteccia, osservata attraverso una breccia ossea.

Galeno non conosceva la circolazione del sangue e pensava che il sangue, con spostamenti analoghi a quelli della respirazione, effettuasse un movimento alternato di andirivieni, provocato dalla contrazione delle arterie. Galeno non conosceva il contenuto fluido dei ventricoli cerebrali, che veniva perduto nelle dissezioni dei cadaveri. Aveva correttamente costruito la catena motoria cervello-nervo periferico-muscolo-tendine-osso, ma tutta la fisica allora nota era meccanica, movimento dell’aria e movimento dei fluidi, ed era difficile immaginare la trasmissione nervosa senza spostamenti meccanici.

La “rivoluzione copernicana”: emerge il cervello

La scarsa considerazione del tessuto cerebrale come sede degli spiriti vitali e animali continua nel medioevo e oltre. Il povero cervello non è proprio considerato. Fino dall’epoca di Galeno si riteneva desse origine alle secrezioni nasali e bisogna giungere a Richard Lower (1631-1691) per dimostrare che originano dalla mucosa nasale.

Con Andrea Vesalio (1514-1564) comincia la rivalutazione della massa encefalica. Osserva che gli uomini non differiscono dagli animali per qualche speciale carattere dei ventricoli, mentre aumenta dall’animale all’uomo la massa del cervello. Costanzo Varolio di Roma (1543-1575) comprende che i ventricoli contengono fluidi e non aria, e Domenico Cotugno di Napoli (1736-1822) dimostra definitivamente la presenza di un liquido (il liquor) nei ventricoli e negli spazi subaracnoidei. Franciscus Sylvius nel 1663 suggerisce ancora che lo spirito animale, secreto dalla corteccia, passi nei ventricoli.

Spetta a Thomas Willis di Oxford (1621-1675) il definitivo abbandono del loro ruolo come sede dello spirito animale o dell’anima. Ritiene che passi attraverso i plessi coroidei ma nel classico trattato “Cerebri Anatome” del 1664 attribuisce un ruolo di rilievo alla corteccia. Nota che gli animali che hanno la superficie del cervello liscia comprendono e imparano di meno. Il suo nome resterà legato alla descrizione del circolo arterioso posto alla base dell’encefalo, peraltro già menzionato nel 1561 da Gabriele Falloppio e disegnato nel 1632 da Giulio Casserio. La “rivoluzione copernicana” che affida al cervello la centrale di comando della nostra vita intellettiva è iniziata.

Marcello Malpighi (1628-1694) osserva nel 1686 il cervello al microscopio, inventato nel 1677 da Anton van Leeuwenhoek, e descrive differenze fra sostanza grigia e bianca. René Descartes (Cartesio) di La Haye (1596-1650) situa teoreticamente nella ghiandola pineale le interazioni fra spirito e corpo ma descrive nel 1649 le reazioni riflesse (la chiusura degli occhi alla minaccia e la retrazione di un arto al dolore) che attribuisce ad una azione nervosa. Robert Boyle (1627-1691) intravede l’area corticale motoria: osserva, in un paziente con una frattura depressa del cranio, una paralisi del braccio che migliora con il sollevamento della squama ossea. Johann Wepfer nel 1658, e Gregor Nymann nel 1670, nei loro trattati sull’apoplessia, riconoscono nell’emorragia e nella occlusione dei vasi cerebrali la causa dell’insulto apoplettico, e Antonio Valsalva (1666-1738) comprende che il danno che provoca l’emiplegia va cercato nell’emisfero opposto al deficit. Sarà Domenico Mistichelli, nel 1709, a mostrare la decussazione delle piramidi, che permette ai fasci motori di un emisfero di comandare i movimenti del lato opposto. Giovanni Battista Morgagni (1682-1771) in un altro classico trattato, “De sedibus et causis morborums”, del 1761, mostrava nel cervello la sede e le cause delle malattie neurologiche.

Il cervello è oramai divenuto responsabile delle attività mentali e della vita di relazione. Si chiude così una delle grandi controversie che hanno accompagnato la storia della neurologia.

Le nuove strade del sapere

La scoperta della elettricità animale a cambia radicalmente l’approccio alla fisiologia nervosa.

Felice Fontana (1730-1803) e Leopoldo Caldani (1725-1813), usando le rudimentali fonti di elettricità allora ottenibili, mostrano che il tessuto nervoso della rana è eccitabile elettricamente. Luigi Galvani (1737-1798) e Carlo Matteucci (1811-1865) dimostrano che l’elettricità è intrinseca ai tessuti biologici. Questi esperimenti portano da un lato, nel 1800, alla scoperta della pila ad opera di Alessandro Volta; dall’altro, nel 1849, alla scoperta della conduzione nervosa ad opera di Emil du Bois-Reymond. Era nata l’elettrofisiologia.

La neuroanatomia nasce quando Vicq d’Azyr nel 1781 e Johann Reil nel 1809 mostrano che per esaminare il cervello è necessario fissarlo in alcol o formalina, rendendo compatto il tessuto nervoso. Reil descrive un lobo ignoto, l’insula, nascosta dagli opercoli frontale e temporale, e valorizza il ruolo delle circonvoluzioni (“in questi centri giacciono gli strumenti dell’anima”). Il significato delle circonvoluzioni cerebrali era stato intuito da Franz Gall. Riteneva fossero la sede di abilità intellettive particolari, e che l’esercizio di queste abilità favorisse lo sviluppo dell’area corticale coinvolta e una espansione delle pareti ossee. La teoria, nelle pubblicazioni con Johann Spurzheim (1798, 1811), viene chiamata “cranioscopia” e “frenologia”. Intuizione ora confermata dallo studio comparativo dell’espansione cranica degli ominidi e dell’Homo sapiens, ma allora decisamente troppo precoce.

L’embriologia si sviluppa con Tiedemann, che nel 1826 descrive gli stadi di sviluppo dell’embrione, che conducono alla geniale sintesi di Haeckel (1887), che “l’embriogenesi è una ricapitolazione della filogenesi”: l’embrione cioè ripercorre in maniera accelerata, nei suoi stadi di sviluppo, l’evoluzione delle specie animali dagli organismi più semplici alle forme più evolute (Darwin aveva pubblicato nel frattempo, nel 1859, “L’origine della specie”). Siamo in pieno 19° secolo.

Gli sviluppi: la neuroanatomia

Gli sviluppi delle scienze neurologiche seguono oramai differenti filoni. La base della conoscenza del cervello è la neuroanatomia, Le tappe più significative sono la identificazione del ruolo sensitivo delle radici spinali dorsali e del ruolo motorio delle radici ventrali (Bell, 1811 e Magendie, 1821), la descrizione delle fibre nervose mieliniche e amieliniche (Remak, 1836), l’osservazione della struttura laminare della corteccia cerebrale (Remak, 1844) la descrizione dei differenti tipi di cellule nervose (Kolliker, 1853) la differenziazione fra dendriti e assoni (Deiters, 1865), l’identificazione delle cellule piramidali giganti e l’origine del fascio piramidale (Betz, 1874).

Sono state fondamentali le tecniche per colorare le cellule nervose e le loro propagazioni (rosso carminio, von Gerlach, 1858; blu di metilene, Nissl, 1858). Camillo Golgi (1843-1926) scopre nel 1873 un metodo per impregnare di sali di argento e rendere visibile una singola cellula e di osservarne per intero le diramazioni all’interno del tessuto, che rende possibile capire le basi della organizzazione neurale. Sommo maestro di questa tecnica è stato Santiago Ramon y Cajal (1852-1934) che dedica la sua vita a descrivere gli intricati dettagli dei circuiti nervosi. Condensa le sue osservazioni in un testo di neuroanatomia ancora oggi valido (“Textura del sistema nervioso”, 1904). Dimostra definitivamente che il tessuto nervoso, come gli altri organi è costituito da elementi cellulari ottenendo, nel 1906, assieme a Golgi, il premio Nobel per la medicina (il primo di una lunga serie di Nobel attribuiti alle neuroscienze).

Le osservazioni di Cajal concludono un’altra delle grandi contese neurologiche, quella fra la teoria reticolare sostenuta fra gli altri da Golgi, che prevedeva una rete nervosa continua, e la teoria neuronale sostenuta da Cajal, che prevedeva invece entità cellulari separate, i neuroni, connessi attraverso un vallo sinaptico. Si riconosce che il neurone costituisce l’unità funzionale del sistema nervoso, e che le vie nervose sono formate da catene di neuroni connessi sinapticamente fra loro. È singolare che il “neuronista” Cajal abbia dimostrato la giustezza della sua teoria usando la tecnica del “reticolarista” Golgi.

Si impone anche una nuova terminologia: vengono coniati i termini di “neurone” (Waldeyer, 1891), “dendrite” (His, 1889), “assone” (Kolliker, 1896), “sinapsi” (Sherrington, 1897). Il termine “neurologia” era già stato usato da Willis nel lontano 1681, e quello di “riflesso” da Astruc nel 1736.

Gli sviluppi: la neurofisiologia

Vengono progressivamente svelate le funzioni delle differenti parti dell’encefalo: il ruolo del cervelletto nella regolazione motoria (Flourens, 1823) e nel mantenimento dell’equilibrio (Magendie, 1824), il ruolo della corteccia occipitale nella visione (Panizza, 1855), delle circonvoluzioni temporali superiori nell’udito (Heschl, 1855), della corteccia rolandica nel movimento (Hitzig e Fritsch, 1870), della corteccia frontale di sinistra nei disturbi della espressione del linguaggio (Broca, 1861) e della corteccia temporo-parietale di sinistra nella comprensione del linguaggio (Wernicke, 1874).

Broca e Wernicke hanno messo fine al problema della "localizzazione degli spiriti vitali”, risolvendo un altro grande dibattito: se l’intelligenza fosse il risultato di una attività globale e inscindibile dell’organo cerebrale (“teoria olistica”) o il risultato di abilità particolari, localizzate in porzioni differenti dei centri nervosi (“teoria localista”). Cent’anni di studi, culminati nelle moderne tecniche funzionali, hanno confermato che aree specifiche sopraintendono alle diverse attività del cervello; non solo a quelle più comprensibili (come udire, muoversi, parlare), ma anche a quelle più elaborate e inafferrabili, come pensare, immaginare o provare emozioni.

Fondamentali per comprendere l’organizzazione funzionale neurologica sono stati concetti elaborati da John Huglings-Jackson in una serie di lezioni, nel 1884. Osservando i pazienti neurologici, egli conclude che l’organizzazione del sistema nervoso è basata su una serie di livelli funzionali di crescente complessità, integrati in senso caudo-craniale, che rispecchiano l’evoluzione filogenetica delle strutture neurali e che mettono in luce, nel caso di lesioni dei livelli più elevati, modelli organizzativi più semplici e primitivi.

La fisiologia del sistema nervoso si è sviluppata inizialmente attraverso gli esperimenti di ablazione, consistenti nella asportazione chirurgica di una zona di tessuto nervoso e nell’osservazione clinica delle sue conseguenze sull’animale. Ha ricevuto un grande impulso della utilizzazione delle tecniche elettrofisiologiche, cioè dallo studio delle correnti prodotte dal tessuto nervoso e degli effetti delle correnti elettriche applicate alle strutture nervose, metodica che ha consentito di porre, accanto a quelli di ablazione, gli esperimenti di stimolazione e di registrazione.

Nomi da ricordare sono Charles Sherrington (1856-1952) che ha investigato le funzioni riflesse del sistema nervoso, chiarendo i meccanismi dei riflessi da stiramento dei muscoli (ai quali appartiene il famoso “colpo di martello” sulla rotula, che fa parte della iconografia popolare della neurologia). Ivan Pavlov (1849-1936) ha descritto invece riflessi di complessità integrativa più elevata, cioè quelli che si stabiliscono associando uno stimolo indifferente ad una azione riflessa di base (“i riflessi condizionati”). James Papez (1883-1958) ha identificato i circuiti cerebrali che sono alla base delle emozioni. Giuseppe Moruzzi e Horace Magoun (1949) che, usando stimoli elettrici, hanno dimostrato gli effetti attivanti della formazione reticolare del tronco encefalico sulla corteccia cerebrale e hanno posto le basi per l’interpretazione dei disturbi di coscienza. Si è giunti infine alla stimolazione della corteccia cerebrale nell’uomo integro, prima con impulsi elettrici e poi con stimoli magnetici.

L’elettrofisiologia ha reso possibile attivare nell’uomo sia strutture periferiche che centrali. Sono divenute procedure diagnostiche standard la misurazione dei tempi di conduzione del nervo (elettroneurografia) e dei fasci nervosi (potenziali evocati). Gli esperimenti di registrazione dal nervo periferico hanno consentito a Joseph Erlanger e Herbert Gasser (premi Nobel nel 1944) di identificare, assieme a George Bishop, le funzioni dei differenti tipi di fibre. La registrazione di singoli neuroni nell’animale da esperimento ha consentito di identificare la organizzazione colonnare della corteccia in colonne di neuroni con funzioni simili (i neuroni con funzioni complementari – per esempio quelli che ricevono le informazioni tattili da una porzione della cute – sono ordinati in colonne che attraversano verticalmente la corteccia). Gli studi sono stati sviluppati negli anni 1960-80 da Vernon Mountcastle e Gianfranco Poggio sulla corteccia somatica, da David Hubel e Torsten Wiesel (premi Nobel nel 1981) sulla corteccia visiva, da Edward Evarts sulla corteccia motoria.

Sul piano clinico, la registrazione dell’attività elettrica cerebrale (elettroencefalografia) ad opera di Hans Berger (1929) ha fornito una base interpretativa per l’epilessia, mentre la osservazione della attività elettrica muscolare (elettromiografia), sviluppata dagli anni ’40 e ’50 da Eric Kugelberg a Stoccolma e Fritz Buchtal a Copenhagen, ha consentito di studiare le patologie neuromuscolari.

Gli sviluppi: la anatomia patologica

Altra grande fonte di conoscenze è stato lo studio della anatomia patologica del sistema nervoso, ove è stata protagonista la scuola neuropatologica tedesca. Franz Nissl (1860-1919) è stato uno degli esponenti di maggiore spicco, sulla scia di Rudolph Virchow (1821-1902), colui che ha dimostrato come tutte le malattie siano alla fine costituite da alterazioni cellulari. Nomi rappresentativi sono stati Alois Alzheimer (1864-1915) che ha descritto le alterazioni alla base delle malattie mentali organiche (come la paralisi progressiva) e delle demenze (la malattia dementigena più nota porta il suo nome); Walter Spielmeyer (1879-1935) che ha studiato le malattie metaboliche del sistema nervoso; Max Bielchowsky (1869-1940) che ha studiato le patologie cerebrali da accumulo; Arnold Pick (1851-1924) che ha descritto le atrofie focali della corteccia.

Bisogna ricordare che i grandi neurologi di scuola francese sono stati valenti neuropatologi, a cominciare da Jean Martin Charcot fino al belga Ludo van Bogaert (1897-1989). In Italia si collocano i contributi di Giovanni Mingazzini (1859-1929) che ha descritto le patologie cerebellari; di Gaetano Perusini (1879-1915) che ha contribuito alla identificazione della malattia di Alzheimer; di Ettore Marchiafava e Amico Bignami che hanno osservato nel 1903 la degenerazione del corpo calloso negli alcolisti, malattia che porta il loro nome.

Non dobbiamo neppure dimenticare il lato oscuro della neuropatologia tedesca. Il programma nazista di eutanasia attiva ha portato alla soppressione, fra il 1939 e il 1941, di circa 75.000 pazienti psichiatrici, 5.000 dei quali bambini, considerati un onere economico per lo Stato. Molti cervelli furono prelevati e inviati nei laboratori di neuropatologia. Il programma fu fermato da una omelia del vescovo di Münster, Clemens August von Galen tenuta nella Cattedrale di St. Lambert il 3 agosto 1941.

Gli sviluppi: la neurochimica

La neurochimica è giunta alla identificazione dei mediatori della trasmissione nervosa. La trasmissione neuroumorale è il frutto di un lungo dibattito, uno dei tanti che hanno agitato la storia della neurologia.

Viene osservato che la stimolazione dei nervi simpatici e la iniezione di estratti di ghiandola surrenale producono gli stessi effetti, per esempio accelerazione del battito cardiaco (Max Lewandowski,1898 e John Langley,1901); e che la stimolazione del vago produce una sostanza che rallenta il cuore (Otto Loewi, 1921). Vi sono quindi sostanze che trasmettono l’informazione nervosa agli organi. Le molecole coinvolte verranno poi identificate e nella noradrenalina e nella acetilcolina.

Dibattuta è stata la modalità di trasmissione tra nervo e muscolo e tra neurone e neurone, fra i sostenitori della sinapsi puramente elettrica, guidati da John Eccles (1903-1997), e i farmacologi, guidati da Henry Dale (1875-1968), che avevano identificato una serie di sostanze chimiche che potenziavano o deprimevano la trasmissione sinaptica, evento compatibile con un mediatore umorale. La trasmissione neuroumorale è stata definitivamente confermata da Theodore Bullock e Susumu Hagiwara, nel 1957 studiando la sinapsi gigante di calamaro: l’impulso attraversa la sinapsi con una latenza di 0.2-0.5 millisecondi, compatibile con una mediazione chimica ma non con il passaggio diretto di corrente attraverso il vallo sinaptico.

La dimostrazione della trasmissione chimica porta alla scoperta dei recettori e dei modulatori della trasmissione sinaptica, cioè di sostanze che potenziano o inibiscono l’azione del mediatore. La moderna neurochimica e neurofarmacologia è basata su queste scoperte. Fondamentale è stato lo studio della composizione del liquido cerebrospinale, e la dimostrazione della presenza nel liquor di proteine ad azione anticorpale prodotte nel tessuto nervoso, che spiegano i meccanismi responsabili della sclerosi multipla e ne consentono la diagnosi.

L’ultima grande scoperta della neurochimica è l’identificazione di proteine infettanti, i prioni, ad opera di Stanley Prusiner (premio Nobel nel 1997). I prioni, responsabili della malattia di Creutzfeldt-Jakob, hanno acquisito notorietà con la scoperta della infezione dei bovini (malattia della “mucca pazza”), e della trasmissione della proteina infettante all’uomo attraverso la catena alimentare.

Gli sviluppi: le innovazioni tecniche

Le innovazioni tecniche procedono e sottendono i progressi: il galvanometro (Du Bois-Reymond, 1850), l’oftalmoscopio (Helmoltz, 1851), il tubo catodico (Crookes, 1879), l’anestesia generale con il protossido d’azoto (Horsley, 1883) e quella locale con la cocaina (Koller, 1884), l’esame del liquor (Quincke, 1891) e quasi allo scadere del 19° secolo le radiazioni X (Roentgen, 1895) e l’oscilloscopio (Braun, 1897).

La diagnostica radiologica è la branca che ha mostrato i maggiori progressi. Iniziata da Wilhelm Roentgen con la celebre radiografia della mano della moglie (1895) passata attraverso il semplice studio della radiografia del cranio e della colonna vertebrale, è progredita in maniera prodigiosa. Dalla pneumoencefalografia (Dandy, 1919), che richiedeva l’immissione di aria nelle cavità dei ventricoli, alla mielografia con lipiodol che richiedeva la puntura lombare (Sicard e Forestier, 1922); alla arteriografia, ancora in uso, in cui il mezzo di contrasto viene iniettato direttamente nell’albero arterioso (Moniz e Lima, 1927), e infine con la tomografia computerizzata (Hounsfield, 1972) e la risonanza magnetica (Lauterbur, 1973), tutt’ora in grande sviluppo.

Ad esse si sono affiancate le tecniche che utilizzano traccianti radioattivi come la scintigrafia a emissione di singoli fotoni (SPECT) e di positroni (PET) introdotte negli anni ’60 e ’70. La PET, e ora anche la risonanza magnetica funzionale, sono metodiche che permettono di valutare il livello metabolico di una zona del cervello, e consentono di identificare le aree coinvolte in uno specifico compito (dal movimento di un dito alla percezione della musica). Inoltre, la neuroradiologia interventistica consente di giungere all’interno del cervello e del midollo attraverso i vasi, per ridurre la vascolarizzazione di un angioma o di un tumore, per somministrare localmente i farmaci o sciogliere un trombo occludente un vaso.

Gli sviluppi: la genetica

La genetica inizia con Gregor Mendel nel 1865. Questo diligente osservatore, incrociando piselli da giardino di dimensioni, forma e colori diversi, ha stabilito alcuni principi fondamentali sulla trasmissione dei caratteri ereditari, come la presenza di tratti dominanti e recessivi, che mantengono comunque la loro identità di generazione in generazione. La seconda fondamentale scoperta è stata la proposta – da parte di James Watson e Francis Crick, nel 1953 – del modello costitutivo a doppia elica del materiale genetico dei cromosomi, e del suo meccanismo di replicazione.

Le scoperte successive sono state travolgenti e costituiscono al momento la componente più innovativa delle scienze mediche (non solo neurologiche). I principi fondamentali sono che il DNA del materiale genetico, dopo essere stato trascritto in RNA, viene traslato nella sintesi di una proteina. L’identificazione e la mappatura dei geni responsabili di alcune malattie ha consentito di identificare la proteina alterata, e di progettare la sua sostituzione con un gene o con una proteina normale. Merita di essere ricordata la scoperta che alcune malattie sono dovute alla abnorme espansione di una porzione del materiale genetico (per esempio la corea di Huntington).

La clinica neurologica

Lo studio clinico del paziente neurologico ha mostrato grandi progressi, come tutta la scienza medica, quando sotto l’influsso dello spirito positivista si è deciso di osservare il decorso naturale delle malattie. Diviene possibile descrivere differenti forme morbose, classificandole in gruppi ordinati.

Vanno ricordate come esordi fondamentali la descrizione della malattia di Parkinson (1817), della distrofia muscolare (Duchenne, 1849), della atassia spino-cerebellare ereditaria (Friedreich, 1863), della sclerosi laterale amiotrofica ad opera di Charcot (1877). Jean Martin Charcot (1825- 1893) va considerato come il vero padre della neurologia clinica, perché – oltre ad avere identificato una serie di segni e quadri clinici – ha fondato una scuola di neurologia dalla quale sono usciti un grande numero di osservatori brillanti e geniali: la famosa Salpetrière di Parigi, ancora oggi punto di riferimento. La prima cattedra di malattie nervose è stata creata, nel 1882 alla Salpetrière, per Jean Martin Charcot.

È giusto menzionare, accanto agli studi clinici, la neuropsicologia, cioè lo studio delle funzioni cerebrali più elaborate quali linguaggio, pianificazione del movimento, organizzazione dello spazio personale, etc. La disciplina, ormai indipendente, ha portato una quantità di informazioni sulla struttura mentale dell’uomo. Dopo Pierre Paul Broca e Carl Wernicke i nomi più rappresentativi sono Julien de Ajuriaguerra, Arthur Benton, Michael Gazzaniga, Norman Geschwind, Henry Hecaen, Aleksandr Lurija, Roger Sperry (premio Nobel nel 1981).

In Italia gli studi sono vivacissimi, alimentati soprattutto dal gruppo derivato da Ennio de Renzi. La osservazione clinica si è valsa del contributo di un grande numero di osservatori, in tutto il mondo, che hanno legato il proprio nome a molte malattie. Impossibile ricordarli tutti, e ingiusto dimenticarne qualcuno. La circostanza che desta più ammirazione è che solo l’osservazione e l’intuito clinico hanno guidato questi grandissimi medici, che hanno seguito magari per decenni pazienti e loro parenti, estraendo dal caos della casualità legami e affinità fra i diversi casi e costruendo una classificazione clinica che si è confermata valida all’esame delle più recenti investigazioni neuroradiologiche, biochimiche e molecolari.

Da menzionare alcune tappe significative: la prima associazione nazionale di neurologi, la American Neurological Association, nel 1875; la prima rivista dedicata alla neurologia, “Brain”, in Gran Bretagna, nel 1878; la descrizione del riflesso plantare in estensione, il segno più classico della neurologia da parte Joseph Babinski, nel 1898; la prima associazione europea di neurologi, la Société Française de Neurologie, nel 1899; la fondazione della Società Italiana di Neurologia, nel 1907; il trattato di semeiotica neurologica di Joseph Dejerine del 1914; la prima “summa” delle conoscenze neurologiche, il grande trattato in 17 volumi, coordinato da Oswald Bumke e Otfried Foerster, pubblicato fra il 1920 e 1936; il Handbook of Clinical Neurology edito da George Bruyn e Pierre Vinken, e pubblicato dal 1968 al 1982, in 44 volumi.

Ora non è più il tempo dei grandi trattati, che non riescono a tenere il passo allo sviluppo delle conoscenze, disseminate dalla rete informatica di Internet. Sono sempre necessarie le sintesi, fondamentali per inquadrare i vari capitoli della neurologia e fornire una struttura in cui collocare le nozioni, altrimenti disperse in una serie disordinata di informazioni. La rete va consultata sapendo cosa cercare e dove inserire ciò che si trova.

La terapia medica

È rimasta indietro la terapia, che si è mossa con grande fervore solo negli ultimi decenni. Il sistema nervoso è costituito da elementi cellulari perenni, che rigenerano (male) solo alla periferia, malgrado gli sforzi delle tecniche riabilitative, e che non possono (per ora) essere sostituiti.

Tuttavia l’epilessia, la malattia di Parkinson e i disturbi motori di tipo distonico, la miastenia, alcune patologie vascolari, oltre a molte malattie infettive e infiammatorie del tessuto nervoso (meningiti, encefaliti, polinevriti, la sclerosi multipla), hanno trovato terapie o metodiche di prevenzione risolutive o molto efficaci. L’esempio più significativo è il trattamento della malattia di Parkinson con L-Dopa. Studiata sperimentalmente da Arvid Carlsson (che ha ottenuto il Nobel solo nel 2000) la L-Dopa è stata introdotta nell’uso terapeutico negli anni ’60 da un gruppo di ricercatori clinici (i nomi più rappresentativi sono André Barbeau, Walther Birkmayer, George Cotzias, Oleh Hornykiewicz), e ha dato la stura a una serie di studi farmacologici sulla neurochimica dei gangli della base tutt’ora in grande sviluppo. Fra le terapie preventive, vanno ricordate la eradicazione della poliomielite ad opera della vaccinazione, la prevenzione delle complicanze tardive del morbillo sempre con vaccini e gli studi in corso sulla prevenzione delle recidive della sclerosi multipla.

Molti sintomi possono essere corretti: dolori, vertigini, tremori e spasticità (con notevoli difficoltà), disturbi vegetativi, disturbi del sonno. Inoltre, le recenti tecnologie di ingegneria genetica e la scoperta di elementi cellulari in grado di svilupparsi in nuove cellule neuronali anche nell'encefalo dell'adulto (le cellule staminali) fanno sperare di potere modificare la “condanna” del sistema nervoso, di dover sopravvivere fino alla vecchiaia con la dotazione di cellule presente alla nascita. La neuroriabilitazione combatte con questa realtà, cercando di valorizzare tutte le risorse residue.

La neurochirurgia

Si è sviluppata in maniera mirabile la neurochirurgia. È solo una scoperta di paleopatologia il reperto di esiti di trapanazione, scientemente condotta in corrispondenza di una frattura, in un cranio di 7.000 anni fa trovato a Catignano, un villaggio preistorico vicino a Pescara.

Le prime trapanazioni “ufficiali” del cranio dopo traumi sono “solo” di 500 anni fa, ad opera di Berengario da Carpi (1518), Giovanni Battista Carcano (1583), Fabrizio di Acquapendente (1617) e Giovanni Andrea della Croce (1661). Il trattamento chirurgico delle lesioni traumatiche è proseguito in Italia con Giovanni Bertrandi (1763) e Fernando Palasciano (1815-1891). I primi interventi per asportazione di tumori sono ancora italiani: Zanobi Pecchioli a Siena asporta totalmente, nel 1835, un meningioma della teca frontale destra; Francesco Durante a Roma rimuove con successo nel 1885 un meningioma della doccia olfattoria sinistra; queste patologie però venivano diagnosticate e localizzate all’esame ispettivo del cranio. E’ stato William Mac Ewen, considerato il padre della neurochirurgia anglosassone, a dare inizio, in Scozia, nel 1879 a interventi per ascessi e tumori endocranici e spinali, localizzati attraverso l’esame clinico delle funzioni neurologiche; è stato seguito da Victor Horsley (1857-1916) in Inghilterra, Harvey Cushing (1869-1939) e Walter Dandy (1866-1946) negli Stati Uniti, Otfrid Foerster (1875-1941) in Germania, Thierry de Martel (1876-1940) e Clovis Vincent (1879-1947) in Francia, Lyudvig Puusepp (1875-1942) in Russia, Herbert Olivecrona (1891-1980) in Svezia.

In Italia le figure più rappresentative della “fase adulta” della neurochirurgia sono state Gian Maria Fasiani (1887-1956), Marino Quarti Trevano (1910-1958), Francesco Castellano (1916-1978), Piero Frugoni (1909-1994) e Beniamino Guidetti (1918-1989).

La disciplina è cresciuta con il miglioramento delle tecniche anestesiologiche, ad esempio gli interventi in ipotensione controllata, nonché della strumentazione chirurgica, come ad esempio l’adozione delle clips e dell’elettrocoagulazione per arrestare le emorragie, del microscopio operatorio per migliorare la visuale del campo operatorio, delle valvole e dei sistemi di derivazione per correggere l’idrocefalo, dell’aspiratore a ultrasuoni per asportare i tumori in sedi pericolose, del neuronavigatore per guidare verso il tessuto da asportare. Fondamentale è stato il progresso diagnostico consentito dalla risonanza magnetica. La chirurgia dell’epilessia, iniziata da Victor Horsley nel 1886 su un paziente, diagnosticato da Huglings-Jackson, ha fornito ai neurochirurghi l’occasione di una chirurgia diretta a asportare non solo la lesione ma il tessuto circostante divenuto epilettogeno. Le procedure e le tecniche sono state messe a punto in Canada da Wilder Penfield (1891-1976) e Herbert Jasper (1906-1999) e in Francia da Jean Talairach e Jean Bancaud (1921- 1993). In Italia è stata sviluppata soprattutto da Claudio Munari (1943-1999).

La neurochirurgia è stata negli ultimi anni rivitalizzata dalle stimolazioni elettriche ad alta frequenza dei nuclei profondi per il trattamento delle fasi avanzate della malattia di Parkinson e dei disturbi del movimento, introdotta da Alim L. Benabid. Nuove prospettive si stanno aprendo con la possibilità di impianti di cellule staminali prelevate dallo stesso individuo adulto e indirizzate verso la crescita neuronale o astrocitaria.

Conclusioni

La neurologia ha una storia di grandi successi conoscitivi e di un lento progresso terapeutico, frenato dalla sostanziale irreversibilità di molte lesioni del tessuto nervoso. La psichiatria, con la quale la neurologia è legata a doppio filo, ha percorso rapidamente la strada così ardua per i neurologi, quella dei successi terapeutici. La neurologia progredisce conservando i suoi caratteri peculiari. L’osservazione clinica fornisce ancora oggi informazioni essenziali, e l’esame obiettivo neurologico, elaborato dai neurologi del 19° secolo, mantiene tutto il suo valore.

Un geniale neurologo contemporaneo, David Marsden (1938-1998) ha concepito fra il 1970 e il 1980 un nuovo capitolo della neurologia, i disturbi del movimento, usando il solo strumento clinico. Le tecniche di rianimazione hanno prolungato la sopravvivenza di molti pazienti neurologici creando formidabili problemi etici e mettendo in tensione le risorse dei sistemi assistenziali, ma consentendo di osservare l’evoluzione nel tempo di patologie una volta rapidamente mortali, e stimolando la ricerca di terapie innovative.

La storia della neurologia, iniziata con gli abili chirurghi egizi di guerra e del lavoro, così legata alla evoluzione del pensiero filosofico e della tecnologia e così aperta alle dispute intellettuali, continuerà a riservarci sorprese. Il problema più impellente è comprendere il processo di invecchiamento e morte neuronale e riuscire a curare alla radice gran parte delle malattie neurologiche.

Se l’Europa vuole tenere il passo dei laboratori degli Stati Uniti dovrà investire di più nella ricerca, senza rinunciare a un orgoglio europeo e cioè la protezione sociale offerta dai servizi sanitari, migliore di quella americana. Il tema più stimolante è la prospettiva di modificare, con la ingegneria genetica, le funzioni metaboliche patologiche delle cellule nervose; come anche di sostituire con cellule progenitrici gli elementi neuronali irrimediabilmente lesi. I limiti etici di queste metodologie dovranno essere rigorosissimi. Il tema più angosciante è il comportamento di fronte al coma vegetativo, quando non vi sono più neuroni per pensare ma ne restano abbastanza per respirare. Non è vita e non è morte, e dovrà intervenire la legge. Il tema più intrigante è il conflitto fra comportamenti innati e libero arbitrio. Il cervello si rivela sempre più condizionato dalle impronte genetiche, e la plasticità dei circuiti cerebrali esecutivi molto limitata. È arduo conciliare una organizzazione “hard wired” con l’indubbia capacità di evoluzione e la creatività umana.

E infine il quesito dei quesiti, che affonda nelle radici della filosofia occidentale, il problema della coscienza di sé, se sia inerente alla materia cerebrale con i suoi 100 miliardi di neuroni e 50.000 miliardi di sinapsi (che si rinnovano continuamente), o se vi sia un altro genere di “spirito vitale” di cui il cervello è solo una interfaccia, come diceva Descartes. La soluzione, se mai vi sarà, potrà uscire dai laboratori dei neuroscienziati. Al contrario di quanto riteneva Descartes la coscienza di se non è limitata al genere Homo, e può essere studiata sperimentalmente.

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